Le Avanguardie a Palazzo Blu dal Philadelphia Museum
Il Philadelphia Museum of Art domina dall’alto la Benjamin Franklin Parkway. Pur nella straordinaria ricchezza e varietà delle raccolte, le opere delle Avanguardie europee sono una presenza particolarmente densa e significativa.
Dal 28 Settembre 2023 al 7 Aprile 2024
Grande merito va riconosciuto ai collezionisti, grazie ai cui lasciti il Philadelphia Museum of Art ha continuato a crescere durante tutto il XX secolo, soprattutto durante la trentennale direzione di Fiske Kimball. Lo stesso Marcel Duchamp, incaricato di un sopralluogo nei principali musei nordamericani per individuare la migliore collocazione per l’arte del Novecento, ha indicato Philadelphia come la sede più opportuna.
La presenza Pisa di una selezione di dipinti e sculture del primo Novecento provenienti dal Philadelphia Museum of Art è una occasione emozionante, non solo per ammirare alcuni punti di riferimento assoluti dell’arte europea, ma anche per tracciare un percorso attraverso alcuni dei momenti salienti del “secolo breve”, in dialogo con la sensibilità verso la storia internazionale che caratterizza da diversi anni le iniziative di Fondazione Palazzo Blu. La mostra coincide anche con la conclusione di un intervento di riqualificazione e rinnovamento degli spazi, dell’illuminazione e degli impianti dello storico edificio affacciato sull’Arno.
Il percorso di visita è concepito come una filante e intensa “linea del tempo”: le opere sono accompagnate da installazioni visive, sonore e multimediali che permettono di collocarle nella sequenza degli eventi storici e culturali dalla fine della “Belle Ėpoque” fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
La mostra si apre, in modo molto significativo, con un Autoritratto di Picasso venticinquenne. Il giovane pittore imbraccia la tavolozza e, letteralmente, si rimbocca le maniche: è il primo, consapevole passo per diventare il grande protagonista della vicenda artistica di un intero secolo.
Il baricentro dell’arte, all’inizio del Novecento, è senza dubbio Parigi. Il gruppo delle opere anteriori alla Prima Guerra Mondiale mostra una varietà di temi e approcci, accomunati dal desiderio di dare volto a un tempo nuovo, che rompe con il passato accademico. Insieme all’amico Braque, arroccato sulla collina di Montmartre Picasso elabora il cubismo (e l’Uomo con il violino ne è una prova esemplare), Robert Delaunay evoca atmosfere suggestive (Saint Severin, 1909), mentre l’irriverente, geniale Marcel Duchamp provoca e sorprende il pubblico con dipinti fuori da ogni precedente, in netto anticipo sul surrealismo, come lo straordinario Macinacaffé del 1913.
Poi l’Europa è scossa dalla lunga tragedia collettiva della Prima Guerra Mondiale: una Natura morta con scacchiera, bicchiere e piatto di Juan Gris (1917) sembra la silenziosa metafora di una situazione delicata, in cui la partita non è affatto decisa. La Guerra apre anche nuovi scenari e allarga i confini dell’arte: emerge la figura poetica di Marc Chagall, che con la sua Festa di Purim (1916-17) sembra contrapporre la rassicurante, millenaria tradizione religiosa e popolare delle comunità ebraiche dell’Europa Orientale all’incalzare scomposto degli eventi bellici.
Con la fine del conflitto e la controversa Pace di Versailles (1919) prende avvio una fase di difficile ricostruzione sociale e culturale. Su fronti diversi ma paralleli troviamo l’impegno “costruttivista” di Fernand Léger (Paesaggio animato, 1923) e un’opera memorabile di Vassily Kandinsky (Cerchi nel cerchio, 1923). Il dipinto si colloca nel cuore dell’esperienza del Bauhaus, movimento artistico, scuola di formazione, progetto globale di architettura, design, arti applicate nel segno del rigore geometrico, della rinuncia alla decorazione. Un’esperienza che coincide, in Germania, con gli anni della Repubblica di Weimar, verrà condivisa da altri artisti presenti in mostra (come Paul Klee e Alexey Jawlensky), e si interromperà bruscamente con la salita al potere del nazionalsocialismo.
Gli anni Venti sono molto ben rappresentati in mostra, e mostrano il generale orientamento internazionale verso la ricerca di nuovi orizzonti, alternativi alla realtà. Marie Laurencin esplora i territori del mito e della fiaba, Klee e Mirò guardano al mondo del circo e della magia, Max Ernst (Foresta, 1923) è tra i fondatori del surrealismo. Un grande protagonista è Henri Matisse, nella piena maturità della sua arte raffinata, piena di sentimento e di sensazioni legate al colore: la Donna seduta in poltrona (1920) e la Natura morta su una tavola (1925) comunicano un desiderio di pace, di affettuosa intimità.
Con il Cane che abbaia alla luna (1926) il catalano Joan Mirò sembra ironizzare con simpatia sulle “parole al vento” della propaganda e sulle crescenti spinte autoritarie. Sono gli anni del surrealismo, condiviso dallo stesso Picasso (Bagnante, 1928). Di grande raffinatezza è la Tempesta (1926), solitario, oscuro paesaggio di Yves Tanguy.
Le rigorose composizioni geometriche di Piet Mondrian acquistano, in questo clima, un senso di rigore morale, di fiducia nella geometria più pura e rarefatta, di ordine di fronte al caos montante. Un sentimento condiviso anche dalle forme semplici delle sculture di Hans Arp. Dopo un’ultima, struggente tela di Klee, la mostra si chiude con un’opera di fortissima suggestione e di alto valore simbolico: la Crocifissione dipinta da Chagall nel 1940. Con l’Europa inchiodata a una nuova croce, e ancora con l’arte a farsi interprete e testimone della storia.